Che cosa non è stato detto e scritto da cronisti e storici, da romanzieri e poeti, sulla vita e le gesta di Sigismondo? Chi ne fa un volgare assassino, chi lo celebra come mecenate e capitano, chi lo definisce «più belva che uomo», chi lo giustifica e lo assolve alla stregua delle condizionali morali, politiche ed economiche del tempo in cui visse.
Una cosa è però certa: Sigismondo non ci appare, né va considerato come un personaggio che desti solamente curiosità. Sigismondo fu troppo temuto e troppo invidiato in vita per meritare di essere adeguatamente giudicato dopo morto. È qui, in fondo, la causa che ci nasconde ancora la sua vera anima; la quale denota tuttavia – i più recenti studi lo provano – una singolare fusione di ciechi istinti e di raffinata intelligenza. Si sa che gli elogi più attendibili sono quelli degli avversari. Ebbene Pio II Piccolomini che osteggiò Sigismondo in tutti i modi, che lo scomunicò, che lo dipinse coram populo come eretico e colpevole di « omicidio, stupro, adulterio, incesto, sacrilegio, spergiuro» e d’infiniti altri « turpissimi e atrocissimi misfatti», ebbe a scrivere di lui queste parole che do nella traduzione letterale: « Aveva un singolare acume, era dotato di una pari forza fisica; conosce la storia nelle sue tradizioni e nei suoi avvenimenti; qualsiasi argomento s’accinse a trattare, sembrava nato per essi» (Commentarii, II, 9).
Questo giudizio ci fa capire molte cose di Sigismondo. La sua inflessibile energia, la sua ambizione, la sua audacia, il suo acuto ingegno, il suo trasporto per l’arte, il suo amore per Isotta. Quest’ultimo fu il più profondo sentimento che avesse radici nel suo animo. Sigismondo si innamorò di Isotta, figlia di Francesco di Atto degli Atti, nobile di Sassoferrato che godeva in corte uffici e dignità ragguardevoli, quand’ella era appena una fanciulla. Lui aveva poco più di venti anni. L’amore crebbe col passar del tempo e fu corrisposto. Isotta era intelligente, colta (il Pastor sostenne che non sapesse scrivere sol perché una lettera da lei diretta a Sigismondo era vergata in suo nome da altra mano !) e – con buona pace di certi intenditori – anche bella.
E per la sua donna Sigismondo si fece poeta
O vagha e dolce luce anima altera! Creat~tra gentile o viso degno
O lume chiaro angelico e benegno . In cui sola virtu mia mente spera.
Tu sei de mia salute alta e primiera A nchora che mentien mio debil legno Tu sei del viver mio fermo sostegno Turture pura candida e sincera.
Dinanzi a te l’erbetta e i fior s’inchina Vaghi d’essere premi del dolce pede E commossi del tuo ceruleo manto.
El sol quando se leva la matina
Se vanagloria e poi quando te vede Sconficto e smorto se ne va con pianto
Ma come mai – mi sento dire – Sigismondo convolò a nozze con Polissena dopo che fu morta (c’è chi parla di uxoricidio) , la prima moglie Ginevra? E come mai, spentasi Polissena (al solito l’avrebbe ammazzata il marito, mentre si sa che mori di peste) nel 1449, gli sponsali con Isotta avvennero solamente sette anni dopo? Rispondo che i matrimoni dei principi in quella epoca travagliata dalle lotte di supremazia rispondevano quasi sempre a una sola legge: a quella della politica. Orbene Ginevra era figlia di Nicolò IlI, marchese di Ferrara; Polissena figlia naturale del conte Francesco Sforza, capitano e gonfaloniere della Chiesa. Due potenti signori con i quali il Malatesta aveva tutto l’interesse di andar d’accordo. Ci sarebbe, se mai, d’aggiungere che oltre a codeste mogli legali, Sigismondo possedette gran’ numero di amanti in parte sconosciute, salvo Vannetta de’ Toschi e Gentile di Giovanni, da cui ebbe uno stuolo di figli.
A che pro? Isotta era sempre Isotta; la donna veramente amata; colei in cui si poteva cercare rifugio e conforto, colei che fu consigliera prudente e forte, colei che fu fedele nella buona e nella cattiva fortuna. Ancora fanciulla, ancora giovinetta è già abile a consolare il suo signore nei momenti di sconforto; gli medica le ferite fatte al suo orgoglio; ripara gli errori politici da lui commessi; lo stimola nelle opere della cultura e dell’arte. Divenuta moglie (questo avvenne verso il 1456) regge, vigile e accorta, lo Stato nelle assenze del marito; tratta con ambasciatori e diplomatici; vende i suoi gioielli per sostenere, lo sposo cacciato da Rimini. Madre esemplare, sacrifica tutto per i figli avuti da lui, da Sigismondo
Ed è per questo che non c’è bisogno d’addossare a Sigismondo l’infamia di un duplice uxoricidio. Se Isotta era quella che abbiamo sommariamente descritta – e le mie parole sono fondate su documenti storici -, non si vede perché si debbano ripetere pappagallescamente le solite dicerie contro colui ch’ella dominava moralmente. Che Sigismondo fosse uomo di pochi scrupoli (di grazia, quale principe ne aveva?), passi; ma che sia necessario credere solamente alla requisitoria ecclesiastica del fiscale Andrea Benzi, a Giovanni Simonetta, che – notate – fu segretario della corte sforzesca, e a Pio II, è troppo comodo. Consigliamo pertanto di leggere quanto scrisse in proposito il Soranzo che, dopo accurate ricerche d’archivio, ha potuto sfatare il terribile sospetto.
Figlio illegittimo di Pandolfo III Malatesta e di Antonia da Barignano, nacque il 19 giugno 1417 quasi certamente a Brescia, di cui il padre era Signore. All’età di dieci anni, rimasto orfano del padre, venne a Rimini con i fratelli Galeotto Roberto e Domenico, alla corte dello zio Carlo Malatesta; questi, privo di eredi, accolse i tre nipoti sotto la sua protezione e ne ottenne dal papa la legittimazione. Nel 1429, alla morte di Carlo, ereditò la Signoria il primogenito Galeotto Roberto, che due anni dopo abbandonò la vita mondana e lasciò il potere al giovanissimo Sigismondo.
Nel 1433 il Malatesta fu creato cavaliere dal vecchio imperatore Sigismondo di Lussemburgo, passato per Rimini di ritorno da Roma. Nel 1434 sposò Ginevra, figlia di Niccolò d’Este. Sigismondo, che aveva mostrato precocissime attitudini militari, divenne uno dei più abili e valorosi capitani delle armi pontificie e fu nominato gonfaloniere della Santa Sede.
Nel 1437 ebbe inizio la costruzione di Castel Sismondo. Nel 1440, morta Ginevra, Francesco Sforza offrì a Sigismondo la mano della figlia Polissena. Nel 1444, al termine di una brillante campagna militare, conquistò Senigallia e Mondavio. Nel 1447, per un ritardo nel pagamento degli stipendi, abbandonò Alfonso d’Argona, di cui era al soldo, e passò al servizio di Firenze. Il voltafaccia gli procurò molti nemici, che lo esclusero dai benefici della pace di Lodi (1454).
Nel 1448 Polissena era morta; Sigismondo, che fin dal 1446 aveva una relazione con la giovanissima Isotta degli Atti, potè infine renderla pubblica (Sigismondo e Isotta si sposeranno nel 1456). Nel 1449 avevano avuto inizio i lavori di radicale rifacimento dell’interno della chiesa di San Francesco, il futuro Tempio Malatestiano; nel 1450 era stata affidata a Leon Battista Alberti la progettazione dell’esterno. Gli anni successivi al 1450 costituirono il momento di maggior splendore della corte di Sigismondo, che – da intelligente e generoso mecenate – si circondò di artisti e intellettuali di fama: l’Alberti, appunto, e inoltre Piero della Francesca, Agostino di Duccio, Matteo dè Pasti, Roberto Valturio, Basinio di Parma e numerosi altri.
Nel 1459 salì al soglio pontificio Pio II, da tempo ostile a Sigismondo, che al congresso di Mantova gli impose umilianti condizioni. Ferito nell’orgoglio, Sigismondo si ribellò al papa, che nel 1460 lo scomunicò e si alleò con Federico da Montefeltro, il nemico mortale del Malatesta. Stritolato dalla coalizione, Sigismondo fu privato di tutti i suoi domini e conservò la sola città di Rimini. Nel 1464 andò in Morea, a combattere contro i Turchi; tornò in patria nel 1466, alla morte di Pio II, ammalato e prostrato. Morì il 7 ottobre 1468 e fu sepolto nel Tempio Malatestiano, che le vicissitudini degli ultimi anni non gli avevano permesso di completare.